giovedì 17 maggio 2007

STORIA DI UN AMORE, Federica Pallotta inserito nella rubrica "A mano sciolta" n.10

Come ogni giorno Debora si era svegliata di buon umore. Spense la sveglia che aveva vicino al letto e cominciò a stropicciarsi gli occhi per aprirli. Stranamente non si sentiva stanca, non stava male e si sentiva felice. Accese la luce in modo tale che essa potesse colpirla direttamente sugli occhi per non riaddormentarsi e mise un piede fuori del letto alla ricerca delle ciabatte. Non sarebbe voluta scendere per nulla al mondo: stava talmente calda dentro il letto che ci sarebbe rimasta a lungo. E poi era presto, perché non dormire altri cinque minuti? Ma Debora sapeva bene che rimanere altri cinque minuti a letto significava riaddormentarsi e perdere il pullman e questo la mamma non l’avrebbe mai permesso. Dunque si fece forza e scese, con gli occhi semiaperti trovò le ciabatte e si diresse verso il bagno per rinfrescarsi. Magari con l’acqua si sarebbe svegliata del tutto. Per Debora non era un problema enorme svegliarsi la mattina presto: più che altro era problematico arrivare alla quinta ora della giornata, quando, se c’era una lezione noiosa, era soporifera per lei e la faceva piano piano addormentare. A parte questo, vestita e pettinata scese le scale ed uscì di casa per avviarsi alla fermata del pullman. Era in cammino quando si fermò a fianco a lei una macchina, quasi con l’intenzione di volerla prendere sotto. Assorta nei suoi pensieri Debora pensò tra se chi mai fosse il pazzo che le voleva così male. Poi si girò e lo vide. Rimase per qualche secondo raggelata, e non capì più niente. Era Marco. E che cosa faceva, cosa voleva lì a quell’ora? Non si spiegava tutto ciò. Si sentiva dentro felice e allo stesso momento arrabbiata. Le importava sapere perché fosse lì ma allo stesso tempo non aveva il coraggio di chiederlo e aspettò che lui parlasse per primo. Infatti scese dalla macchina e si avvicinò a lei e disse: “Salta su che ti accompagno a scuola!”. Che cosa fa? Lui che mi accompagna a scuola in macchina pensò Debora. O stava sognando o Marco veramente le stava offrendo un passaggio. Abbastanza confusa aprì lo sportello e salì lasciando sul sedile dietro la cartella. Dopo in macchina il silenzio regnava sovrano: nessuno dei due si decideva a chiedere qualsiasi cosa: lui non diceva nulla aspettando una sua reazione, lei si aspettava qualche spiegazione e certamente non voleva far trasparire che dentro si sentiva come se un treno la stesse investendo mille e mille volte. Alla fine fu lei a prendere coraggio e a parlare per prima e disse: “Come mai sei venuto a cercarmi di mattina presto e solo per portarmi a scuola? Cosa c’è sotto stavolta? Non mi va di continuare ad essere presa in giro ancora da te!”. Ma lui guidava, in silenzio, attento, sicuramente non si era perso neanche una parola di quello che aveva detto, o forse rimuginava, ripensava, in un vortice continuo nella sua testa. Finché dopo un po’ si pronunciò: “Questa volta non ti sto prendendo in giro, ma prima di dirti perché sono qui volevo chiederti una cosa: tu mi ami?”. Non poteva credere alle sue orecchie: non solo Marco era venuto senza senso fino a lì, ora parlava anche senza senso! Non hai il diritto di chiedermelo pensò tra se Debora, mentre la macchina percorreva un tratto di strada rettilineo, il solito. Si guardava intorno e non sapeva più dov’era, non riconosceva quei luoghi: che sta succedendo, il mondo sta entrando in pazzia, o sto ancora sognando, pensò Debora. Rossa in volto per la domanda replicò: “Non hai il diritto di chiedermelo!!!”. Gli rispose, lui prese coraggio e disse quelle parole tanto rimuginate: “Se te lo chiedo non è per prenderti in giro. Andiamo! Lo so che mi vuoi molto bene e lo so, sono stato un vero cretino tutte quelle volte che mi sono comportato male, ma non sai quanto me ne sono pentito...E comunque avresti potuto capirlo da sola ad un certo punto: mi comportavo davvero in maniera strana non ti pare? Adesso l’unica cosa che so è che ti voglio bene e voglio stare con te. Vuoi?”. Debora era rimasta scioccata: quel momento che tanto aspettava era arrivato, e ora non sapeva che dire. Si sentiva come su una nuvola. Era come librarsi nel cielo azzurro infinito. Non si era mai sentita così in alto. Se fossero stati con i piedi saldamente a terra, sarebbe corsa fino a lui per abbracciarlo e baciarlo con passione ma erano in macchina. Perciò si avvicinò piano piano e mentre lui era attento alla guida, Debora gli diede un bacio sulla guancia. Quindi gli accarezzò la mano destra e gliela strinse. Le parole in quel momento non erano importanti perché il gesto era vero e sentito. Debora non aspettava altro che il ragazzo che aveva sempre sognato, quello che gli faceva battere il cuore e quello che per molto tempo era stato padrone e protagonista dei suoi sogni.


Biografia dell'autore
Mi chiamo Federica Pallotta, ho 18 anni e frequento il 5° anno del liceo scientifico di Fabriano. Vivo a Matelica con la mia famiglia da sempre, anche se sono nata a Fabriano. La mia famiglia è composta da mamma, papà e un fratello più piccolo che ha sette anni. Spero che pubblichiate il mio racconto anche se per certi versi a volte mi sembra un po’ banale: ma in realtà è un racconto che sento molto perché è un sogno, una grande immaginazione. E penso che molte ragazze si sentono proprio come Debora o addirittura lo sono. Sognano la felicità ma non quella felicità che puoi trovare così dietro l’angolo ma che tu devi cercare e raggiungere. Spero che ai lettori de L’Azione possa piacere.

1 commento:

Anonimo ha detto...

e brava cucciola