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Miguel
Sbuffo odio, scalcio di rabbia, e premo. Premo le dita su questa piuma pesante come il grilletto di una pistola fumante. Come le lacrime tonde che si infrangono gocce sul terreno. Lento scivolo indietro di pochi momenti a quando giacevo nel terrore. Alle spalle larghe di mio padre coprirmi dai colpi. Bossoli morti finiscono a terra scrosciando secchi sul pavimento. Stridono coi lineamenti docili di una donna sorridente. Vecchia e gioviale signora, vista da lontano, dall’altra parte della foto. Il tempo era un risvolto che mi apriva l’immagine di decenni passati. Immobile nella sua posa, la foto della nonna riposta sulla massiccia scrivania. La nonna che non avevo mai avuto. La madre che babbo guardava sempre in un lieve sospiro.
La nonna… e il padre ora stava morto.
Logoro di paura, zuppo di sangue, il marmo inghiotte le macchie. Risucchia l’emozione di un bimbo disperato nel vedersi puntare dalla morte. Un ometto innocente pulirsi la manica sporca. Premere su una linguetta d’acciaio nero sprofondando l’incubo in un bagno di morte.
Fu così che accade, l’assassino ricadde sul corpo del padre e giacque morto.
Mentre fuori un altro innocente moriva, un altro araldo di libertà periva; fu colto d’improvviso e finì riverso cadendo lungo le scale d’ingresso del palazzo presidenziale. Uno solo di scuro nero, un solo piombo a infilar il cervello.
Fuori appassiva la conquista di anni di dure lotte per la democrazia, carrarmati ornavano i cadaveri sdraiati.
Alejandro
Sgorga rabbia dalle mie vene. Odio di bambino, di quando vidi mio fratello cader giù per le scale. Quando lo vidi schizzare di morte dalle cervella. Di quando tutto il mondo tirato su a fatica da mio padre venne abbattuto a fucilate.
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