venerdì 29 giugno 2007

PARLAMI MARE, Luca Fiorani ___________ inserito nella rubrica "A mano sciolta" n.33

commento di Lorenzo Ramadoro

Il numero di oggi presenta una terza poesia di Luca Fiorani, una poesia che vuole scorrere con il lieve alzarsi e abbassarsi di toni tipici delle acque; in un lungo rincorrersi di versi, di frasi, di cercare e trovare emozioni perse e sogni sfuggenti. Gioca sulla realtà e sulla sua contrapposizione con le aspettative di un animo candido. Ci porta tra i gorghi di uno spirito esule nel mezzo, rotto tra la superficiale ciclicità del quotidiano e il fluttuare della fantasia nel profondo; laddove appare in sottofondo un ottimismo implicito racchiuso nel racconto di una vita e di una coppia,lasciandoci ad immaginare come sarebbe - la vita - se il valore assimilante fosse l’amore.




Là dove finiscono le rocce
e l'acqua indurisce la battigia,
sulla schiuma leggermente si adagia
senza vita la medusa
sulla schiuma si perde
il mio silenzio.
Traccio con le dita,
lettere misteriose sulla sabbia,
ho chiesto alle pupille di parlare,
scrive lo sguardo oramai
ciò che il mio cuore
non sa più dire.
Portami tra le onde piccola orchidea bianca
portami tra il brusio dell'acqua
portami dove le vele diventano piccole,
portami a largo mia sirena.
Ho chiesto al mare di raccontarmi dei tuoi meravigliosi occhi,
e lui mi ha regalato
un maestoso cielo azzurro.
Ho chiesto al mare di te,
dove sei mio bel petalo ambrato,
disperso tra i flutti?
Parlami burbero mare di marzo,
che ti accosti ai cani ed agli impermeabili,
parlami di una felicità che è stata,
di una felicità perduta.
Parlami della nostra bambina guance di pesca,
ha tolto i sandali e saltella qua e là,
non pensa al futuro, né al freddo,
è solo un lieve torpore ai piedi,
nel cuore il mio tepore,
io che ti stringevo al petto dicendoti:va tutto bene ora.
E adesso accoccolati ad un pensiero,che si può nuovamente,
danzare su quel tappeto ondulato,
ed aspettare il sole d'agosto riflettere di nuovo quella sensazione
dai tuoi capelli alla mia solitudine.
Lassù dove il vento dell'est,
spazzola le chiome sopra i baveri alzati,
una notte d'inverno cadde una stella rossa,
stella che illumina il firmamento,
vento veloce, che sibila le note,
di una melodia conosciuta.
Provo ad intonare quella canzone,
ma non so più le strofe,
cerco nei ricordi, ma quella musa tace,
in gola solo un suono strozzato
ma io vorrei arpeggiare ancora
leggera e calda la mia voce.
Portami in quella conca nascosta,
nel nostro posto segreto,accenderemo il nostro bivacco,
portami per mano sul lino profumato della nostra alcova
portami al sicuro, mio fiore lindo del mattino.
Ho chiesto al mare di raccontarmi una fiaba,
mi parlò di una ragazza labbra di rosa,
eri tu amore mio.
Parlami mare silenzioso,
che aspetti solo che finisca questo esilio,
parlami di un costume azzurro,
lo riconoscerai tra mille altri.
Dove sei mia dea dai seni bianchi,
in quale spiaggia mi aspetti?
su quale barca saliremo?
Vela o motore?
Non importa perché il vento o il cuore mi guiderà!
Non importa perché tu sarai al mio fianco,
non so se in un tranquillo porto o alla deriva,
saremo figli del vento del mare,
di questo mare,mare amico,
mare che ci culli,
mare che ci accompagni,
mare che ci ami, che ami,
tutti gli amanti come noi,
mare in te confido, in te rifuggo,
Mare che mi permetti ancora di amare,
e credere che ci sia ancora,
speranza,
vita,
amore, sono ancora qui,
ad aspettarti!

martedì 26 giugno 2007

COS'E' LA GRAFICA D'ARTE?___________ Marco Stagnozzi - inserito nella rubrica "A mano sciolta" n.32

xilografia “Libero e Schiavo” di Marco Stagnozzi



Con questo numero della rubrica apriamo un vaso di Pandora, come spiega l’autore dell’articolo e dell’opera. Ciò significa che questo è solo l’inizio di un viaggio per meglio comprendere le varie tecniche della grafica.



Il termine "grafica" viene usato come sinonimo della grafica pubblicitaria e editoriale, essendo attualmente un settore professionale ben definito e ricercato, ma sarebbe bello spendere due parole per precisare e descrivere il panorama artistico che si cela dietro questa limitata percezione che oggi abbiamo della "grafica". Basta ragionare per capire che l'etimologia del termine stesso ha poco a che fare con l'impaginazione e la scelta dei caratteri (font). Grafica deriva da graffio, sinonimo di segno inciso, solco e calza a pennello per definire l'arte dell'incisione. Ora avrete in mente le incisioni da orafi, le decorazioni dei gioielli..., ci siamo quasi (un tempo gli orafi erano anche dei grafici). L'arte dell'incisione è una tecnica grafica ( grafia = scrittura ) che ha come scopo la produzione di una matrice utile ad essere stampata per riprodursi in serie (tirature). Esistono molte tecniche grafiche: l'incisione in piano (litografia), in incavo (calcografia) e in rilievo (xilografia) secondo il principio che sta alla base della tecnica medesima e che ne definisce il metodo con cui le matrici prodotte andranno stampate. Volendo fare un esempio noto, possiamo affermare con sicurezza che Picasso era un grande grafico, ma perché di lui si conoscono solo i soggetti pittorici? Vorrei sapere quanti professori spiegano Goya citando la serie di incisioni intitolate "I capricci", che compongono un elemento fondamentale per comprendere la sua arte e il suo pensiero. Un'altra curiosità: quanti hanno una stampa appesa in casa senza sapere qual è la sua natura? Uno dei pochi grafici conosciuti nella storia dell'arte è Henri De Toulouse Lautrec (1864-1901), che disegnò molte locandine per il Moulin Rouge di Parigi (da qui forse l'idea comune che la grafica si sposa con la pubblicità?), ma anche qui molto spesso ai soggetti delle locandine viene data meno importanza dei suoi dipinti. Purtroppo l'incisione viene sottovalutata da molto tempo, viene considerata un arte minore, accessoria, come un espediente tecnico per poter copiare un disegno, ma non è così. Molto bene lo ha spiegato Max Klinger ( 1857-1920 artista simbolista) nel suo trattato della pittura e del disegno ("Malerei und Zeichnung" 1895) sottolineando come le tecniche di incisione sono molto più efficaci nel descrivere l'anima delle cose non essendo appariscenti e piacenti come i lavori di pittura. Lui scrive: “(un buon incisore) vuole spesso richiamare il colore, ma non vuole tradurlo, perché il colore reale distruggerebbe quel mondo spirituale che il disegno, unico tra le arti, ha in comune con l'Arte e con la Poesia.". Ciò che cerco di fare è di richiamare all'attenzione un mondo snobbato e nascosto, ma di incredibile importanza e fascino, che fa parte del panorama artistico passato e contemporaneo e che lotta continuamente per conquistarsi quella fetta di palcoscenico dominato troppo spesso da altri mezzi comunicativi.
Marco Stagnozzi

venerdì 22 giugno 2007

DEA A SORPRESA, Lorenzo Ramadoro

foto: "Black rose for Goddes of tears" by bionic man20
Apri, come una scatoletta.
Prendi in mano il tuo squarciascatole e afferrami le cervella.
Butta via e scarta le brutture, l’odio, tutto quelle che ho sbagliato ad imparare dalla gente che mi vive dentro casa. LA mia casa, anche se l’atto è loro.
LA mia camera è come una gondola con sotto il buco che gorgoglia.

Prendi le mie mani, abbi curiosità
Per quel che sei,
mia divinità.
Mia, creatura, mio ricordo di tempi sprizzanti
Perché non riesco ad immaginarti?
Perché non riesco a piangere la tua assenza?
Dove sei adesso?
Dopo che ti ebbi scritto, dopo che ti sei spenta
Presa dalla mia mente è strappata, rinchiusa tra le pagine di un libro
Che non serve.
Che non aiuta, solo per una marcescente pubblicazione
Per avanzare in direzione di un sogno
Quella seconda alba sulla destra che è segnalato dal fumo di un camino.
Preceduta da tempi sporchi, da malattie, da mal di stomaco, da intolleranza d’intestino e di pelli.
Una pelle di scrittore che neppure vorrei se non fosse che dovrei campare, dovrei trovare un modo.
Sporcarmi,
sorrido. È come un tuo scatarro che cade in giù senza alcuna utilità

La voce che batte al ritmo di grancassa mi ricorda…
Muore la forma, il verbo ed il sapore
Muore il desiderio, la voglia e lo stupore
Muore l'idea di me che c'è nella tua mente
Perciò è meglio che tu non pensi a niente
[...]
Mentre uccidevi l'anima
Mentre uccidevi
Mentre uccidevi l'anima
Proprio come tutto il resto


E il ricordo, e la pelle di quei giorni…
Dove mi ricordo che il cielo era brullo, sgangherato tra nubi, stelle e lune..
Competizioni di paesaggi orgogliosi d’essere belli
Bellezze logorate dallo svenevole andare e venire di quest’uomo che necessiterebbe non esistesse più.

Mia dea, sai, ci sono uomini e donne che stanno leggendo, e magari bambini e magari una bimbetta carina e curiosa che corregge ogni mio errore, ogni tempo diverso dalle precise regole grammaticate.
Una bimbetta o forse una vecchia che sta lì stupita da tanta ignoranza. Un prof che non accetta che l’arte non poggia su nessuna regola, non richiede un linguaggio unico ma questo si reinventa ogni volta e chiuderla in uno sgabuzzino di regole stantie ne deteriora l’anima e la natura.
Qualcuno l’ha inventate quelle regole sulla base delle idee che gli si erano mescolate dentro
Potrei chiamarti Gea, mia dea, ma il nome non ha importanza.
Non importa che mi sentano, è solo che l’ho detto, che l’ho fatto per me.
Per cui, guardati dentro candida signora di ogni luogo, e continua a spiegarmi, come fossi il tuo stregone.
Come fosse il ritorno di quella madre padrona delle terre che una stella a cinque punte vista come simbolo del demonio a cacciato via.
Io non ballo, non bollo pentoloni, non prego. Io scrivo perché così chiedono i tre elementi che mi stanno dentro.
Ma di questo ora si presume il bisogno,
nei momenti di collasso una società espelle l’error.e

Riusciremmo a cancellare anche quelli e ad evolvere. Come esseri mutanti e dissacranti ogni menzogna, come alberi che fungono da ponti fra le stelle, come immagini che la mia immaginazione, fusa assieme a scrittori fantasiosi genera.
E c’è chi mi crede colmo di fantasia, si stupisce, e non sa che è sufficiente piegare le regole di quel che si vede per aprirsi a concetti implausibili.
Come chi dice che non bisogna metterci di mezzo la propria vita in quel che si scrive.
Ricordo che rimasi sguarnito di risposta, era troppo vuoto quel che mi stavi prospettando, che volevi definire scrittura.
Potrei farti degli esempi…
Scrivo di lettere a conoscenti ed anonimi lettori, all’indirizzo di uno spazio da colmare, di distanze da spezzare.
Catene, catene e vermi, e serpenti….
Perché l’uomo teme dei simboli? Ne vede solo una parte
Perché catene nn potrebbero essere anelli che uniscono?
E non constrizioni da spezzare?
(mi consentite di aggiungere una “n” di troppo per rafforzare l’aggravosità di una ristrettezza?
Vi consentite di ampliare il linguaggio per renderlo più proprio?
È sufficiente che nn generi una smisurata confusione… purché il messaggio raggiunga il destinatario
E meglio se il messaggio contenga immagini, suoni concentrati tutti identificativi dell’autore
Ogni parola come firma)
Perché questa voglia di essere indipendenti, di volerci sempre più soli?
Stride, deride

Mi stuzzica la curiosità meditare si ogni spinello che la mia dea si sta godendo. Ogni nube che sta inalando e la inebria.
Non hai due mani, o forse nessuna, forse tentacoli, non vedo motivi di concepire la bontà come un essere simile.
I paragoni falliscono tra esseri
Io solo sòno la risposta

Il mio mondo mi chiama, come suo suddito rispondo in attesa di congelare ancora il tempo e schernire il peggio.
_________________________
* "Pop" (Germi) degli Afterhours

TACCIARSI, Lorenzo Ramadoro

"the light of reason..." by confusedvision


1
Toccarsi
un intreccio di tangenti
sfiorarsi di carezze
due sfere che cocciano
due spade che s’abbattono
una sull’altra

Il contatto arrotonda gli animi
li ferisce
spiriti che cercano l’aderenza
si ricoprono di ferite

Una sull’altra
un filo che scheggia l’altro
viene la tentazione di schivarsi
ma tutto quel che possiamo
è parare
attutire il colpo assorbendone il dolore

Lame invisibili
fili taglienti
avvolgono
calde mani
dolci nel loro abbraccio
dolci nel loro gravante abbraccio




2
Ghiaccio
all’improvviso il freddo non è più fastidio
la lontananza assume la consistenza di un allievo

Caldo, armonico, soffice
all’improvviso gradisco le parole spigolose
mi giunge invitante la stretta tra corpi pungenti




3
È solo mancanza
non vero dolore
distanza da emozioni ambite
e lo sento scorrere
un leggero pizzicare
come quando sento il cuore stropicciato
come il formicolare
o l’incapacità di muoversi quando vengo coinvolto in una paralisi

è il bussare di un destino catastrofico



4
Non avevo ceduto il passo
non mi ero mai voluto allontanare di una simile distanza




5
Risale
mi piace
assorbo tutto quest’infinito sentimento
così possente da tirarmi fuori simili versi
così invitante che non lo detesto

Nello schianto di lama su lama
ogni sguardo rasenta la superficie
coglie una sfumatura
e la strappa
lasciando viva la pelle
sviscerando il sangue
l’odio che assale

Lo sento nello stridere di un pensiero
bellissimo, iridescente
colmo di speranze
ma è la stessa cosa di un futuro incavato
rosicchiato
da tarli
maligni esseri umani

Un futuro radioso corroso
per mano di gente inutile

E l’odio che sale



6
Il futuro è dunque il vuoto
appare chiaro per come lo stiamo costruendo

Siete voi a sfibralo
sono io che ancora appartengo
non so come
a questo mondo

Sono io che mi rifiuto di ritrarre il pugnale
che continuo a menare fendenti
proprio come voi

La guerra è un errore
un atto di difesa è pari alla guerra

I vostri fili
ci attorniano
ci stringono
ma provo sempre meno fastidio
per un branco di corpi
inconsistenti
ammassati uno sull’altro
a sbranarsi di grida
ringhiando frustate
utilizzano parole come armi



7
Quale bandiera sventola
adesso?
la verde speranza, la bianca di resa?

La sfocatura s’attenua
la vedo dardeggiante
sospesa dal vento
strattonata
rossa di passione
ma più scura
come quando s’impregna d’aria
il sangue

scuro
puro
silente veleno che m’accompagna
trascina le dita
in frasi

pagine
stille rapprese di vita
che ingorde rivestono il mio stendardo
il mio spirito

Non sono niente senza di voi
non siete niente neppure voi

questo
in un gesto
l’ambiguo destino che mi costringe a circondarmi di persone
pur senza provare il minimo contatto

Ci sono
o no
la materia persiste
il mondo, in fondo, se ne frega

mercoledì 20 giugno 2007

Apriamo un di dibattito...

In fondo troverete un mio breve commento...


POESIA e MORALE
Il figlio bastardo del Dott. Faust (Due pulci nell’orecchio )
09 Febb 2005 01:54:43

Questo pensiero è molto interessante: che la poesia sia bella, sia amabile, pur esprimendo valori non condivisibili; è un pensiero rivelatore di qualcosa di profondo, che sarebbe semplicistico, o forse solo eccessivamente sintetico, chiamare "ipocrisia borghese", come facevano i poeti maledetti.
La poesia è una forma di espressione della verità, dello spirito, della sostanza eterna dell'universo, una forma d'arte: non tutto ciò che si scrive è poesia, ma soltanto quella speciale combinazione di segni che costituiscono la chiave di accesso alla realtà, al fiume che scorre in alienità dalle leggi del tempo.
La poesia è una forma di espressione della conoscenza ed, insieme, è una forma di appropriazione della conoscenza: può sembrare strano, ma chi scrive sa che scrivere non è soltanto un atto di comunicazione di qualcosa che si possiede, ma è, prima di tutto, un atto di possesso.
La forma è l'arma con la quale si cattura la verità.
La conoscenza del vero ordine dell'universo può essere tutt'altro che un'esperienza priva di insidie e di dolori: la conoscenza è un percorso infinito, nel quale, tanto si è più vicini alla verità, tanto essa acceca.
Questo concetto è un archetipo che non invento io, ma proviene dalla cultura classica, dalla tragedia greca e dal mito di Edipo in particolare, almeno nella interpretazione depurata dal plagio fattone da Freud: Edipo approda alla conoscenza attraverso le più terribili prove, mischiandosi al sangue, spiegando la lotta, brandendo il potere, finché, terminate queste parabole terrene, giunge al sapere, e la conoscenza gli frutta come premio la follia. Edipo si acceca, cavandosi gli occhi che avevano voluto vedere, e vive mendico e al buio il resto dei suoi giorni.
Che dire di Prometeo? Anche questo mito si presta all'equazione fra conoscenza e dolore. I miti sembrano insegnare che la via della conoscenza è tragicamente segnata dalla rovina.
Sembra saggio, invece, limitarsi a conoscere solo quanto serve a vivere bene.
Si può concludere che la conoscenza non è affatto necessaria alla vita, che, anzi, sembra procedere assai meglio nell'oscurità, senza interrogarsi su sé stessa.
Ciò che realmente serve alla vita sono delle credenze: piccole, modeste, false credenze, che alimentano giorno per giorno il cammino, il lento spegnimento del fuoco che brucia nell'essere umano.
Ciò in cui si crede e che muove l'interesse ed il cammino della vita sono i valori morali: ciò che è degno di essere conseguito, nella condivisione sociale di questa dignità. Ecco perché è comune sentimento accettare la separazione fra poesia e morale, arte e morale, conoscenza e morale: occupano spazi diversi, piani diversi, dimensioni diverse. Naturalmente, la dimensione vera è quella dell'arte e della sua bella figlia: la poesia; ma questo non serve alla vita.
Alla vita, alla morale, serve sana e conservativa oscurità, menzogna, indifferenza, illusione.
Tutto questo può bastare per la specie più consistente di uomini: avere la loro tranquilla morale e intanto contemplare da lontano la bellezza dell'arte, della verità, ma senza avvicinarsi troppo, avvertendone istintivamente il pericolo.
Per quella infelice e derelitta specie, fatta, invece, di poeti ed artisti di ogni genere, la conoscenza e la verità esercitano un richiamo molto più seducente dei beni apparenti che infestano la vita quotidiana.
Per costoro, arte e morale coincidono: non per scelta, ma per necessaria caduta nell'abisso.
Per costoro, la morale della verità diventa danno: agli occhi della morale comune sono "immorali", è inevitabile.
L'amore per la verità li sprofonda nel baratro dell'autodistruzione, poiché perdono di vista la saggezza conservativa, in favore di quella propulsione ipossidica che conduce all'incontro fra genio e la follia, fatta di libera e smodata ricerca del tutto in ogni cosa, in ogni esperienza.
E così, in piena tranquillità, si dice che il poeta sia un genio da non imitare e la verità un bene da considerare a distanza di sicurezza.

Le petit bourgeois.

lunedì 18 giugno 2007

senza titolo, Elisa Mearelli _____________ inserito nella rubrica "A mano sciolta" n.31



Commento di Lorenzo Ramadoro

Ci sono immagini che entrano facilmente. Nell’osservale, il livello culturale di una persona, non conta niente. Le si guarda senza troppo ragionarci su. Basta un colpo d’occhio per coglierne l’emozione, per comprendere il motivo della menzione speciale ricevuta al 9° concorso internazionale di illustrazione “Scarpetta d’oro”, anno 2004-2005.
Se poi ci si sofferma, si focalizza un punto, ecco il quadro raccontarci una storia. Una diversa trama secondo logiche e deduzioni intuite dai differenti osservatori.
La mia è quella di un bimbo diretto verso una direzione. Destinato a spostarsi, seguendo le sue grandi scarpe; la sua casa. Un ritratto, uno scatto colto nel mezzo di un lungo viaggio mentre il frugoletto riposa placidamente, magari intento in un candido sognare.
Ed io ci provo, mi cimento nuovamente nello scoprire le sensazioni dell’artista-creatrice, ma è ancora troppo comprendere gli stati d’animo di Elisa sottesi all’opera.
(Elisa Mearelli è membro del gruppo “Saltatempo”).

mercoledì 13 giugno 2007

LUCI & NATURA, Lorenzo Ramadoro inserito nella rubrica "A mano sciolta" n.30

A partire da questo numero viene inserito FISSO sotto al logo della rubrica
sito del gruppo artistico giovanile “saltatempo”
gruppo-saltatempo.blogspot.com


Ringrazio Daniela De Maria per la splendida illustrazione che offre al lettore nuovi incanti su cui riflettere.
Il racconto è stato inserito all’interno dell’esposizione artistica aperta al pubblico tra il 1° e il 14 aprile presso la libreria Borea; esposizione legata alla manifestazione sulla “Decrescita”.

Illustrazione: Guerra di Daniela De Maria


Kykio passeggiava lungo il viale. Le piante tutt’attorno spezzavano la luce possente di un sole estivo mentre difronte a lei si ergeva un imponente edificio. Entrando non si aveva l’impressione di finire in un vero e proprio palazzo. Era più, come se la natura fosse stata trapiantata dentro. Il pavimento era in legno grezzamente lavorato, agli angoli si scorgevano le smussature formate dalle balle di paglia compressa ricoperte di uno spesso strato d’intonaco in sughero. Quel che rendeva speciale il museo era la struttura, i pilastri, se così li si volevano chiamare, che sorreggevano il tetto. Erano gli alberi stessi che attraverso un giocoso intreccio di capriate sostenevano la copertura. Fili cadevano dai robusti rami, fili a cui erano appesi quadri, foto, sculture. Immagini che passavano dal tempo antico dei samurai, all’unificazione dell’impero. Foto e pitture mostravano la sottomissione del 1854 nei confronti del commodoro Matthew Perry, ricordavano i kamikaze caduti per difendere un sovrano corroso da desideri di conquista. Nella sala accanto, Kykio scorgeva l’abbaglio di fiammelle che cadevano sulle case in legno. Razzi che si frantumavano a poche decine di metri dal suolo colmando di schegge infuocate il cielo notturno. Sentiva gli urli, le fughe, i pianti. Un documento, una realtà mostrata nel cartone animato “Una tomba per le lucciole”. Un omaggio a tutti coloro che erano state colpiti dalla seconda grande guerra. Proprio il disprezzo per la guerra era stato uno dei motivi per cui aveva deciso di abbandonare una vita considerata sbagliata. Uno dei tanti. Come la paura per un’apocalisse climatica da lungo tempo annunciata, o il timore di una storia incanalata nei binari della Salamandra di Fuoco o del Grande Fratello. Moniti espressi da scrittori visionari...

Il testo completo lo trovate cliccando QUI

martedì 5 giugno 2007

Prova # ... - lorenzo allegrini


Bracciabastòni orizzontali, in croce,
sugli equilibri d'incerte bilance
che vacillano per pugni di vento,
guaine di vene e sento
che poi gonfiano é urlano come leve,
come se macchine umide di corpo
avessero allungato i loro rami.
Sangue e carbone, metti sangue nero,
carica e scarica, con sangue vero.
Bicipite, tricipite e carica e poi scarica,
non esistono violenza o protezione
senza i suoi due fedeli alfieri in ferro.
Sangue di calcio metti sangue bianco
e slega le braccia e toccaci il cielo.
Di procurarmi pesi sono stanco,
così ti aspetto Yiaméh, e potrai appoggiare
le mosche come tuoi avvoltoi, stanotte,
e leccare dal polso alla mia spalla
se le tue mosche hanno ali di farfalla.
Sangue in vena, e l'arteria è tale a un trapano.
Attraverso archi, le travi pesanti
agognano spazi e come ali storpie
vanno a cercarsi tante calde amanti.
In steli di seta, debole e bianca,
scorre la cera che profuma ferro,
verso dita di violente orchidee
e velenose carni periferiche.
Malefica tra le dee,
hai dato le spade tenaci agli uomini
e scudi di dolore alle madri.
Spogliate tutte, come sulla croce,
le braccia accolgono sciami d'insetti,
donne che bevono nell'abluzione
l'acqua che cola sangue lentamente.



www.lorenzoallegrini.tk

sabato 2 giugno 2007

ARAGORN di Daniela De Maria

venerdì 1 giugno 2007

GUERRA di Daniela De Maria

senza titolo di Daniela De Maria




Vi piace il logotipo del "saltatempo"?



A domanda rispondo: "serve un logo al gruppo?" -Eccolo qua...

Spero vi piaccia...il concetto è questo:
noi siamo "artistoidi" che compongono un gruppo eterogeneo...insieme formiamo un qualcosa di particolare composto da vari elementi... (un quadrato, un cerchio, una stella, e la lettera "a").
Il colpo d'occhio è affascinante, non scontato... a me piace!

fatevi sentire con i commenti... (nulla è definitivo)

SALUTI A TUTTI!