domenica 8 luglio 2007

LO ZINGARO DI MILANO, Lorenzo Allegrini inserito nella rubrica "A mano sciolta" n.34


Con questo numero si chiude (per un po’), la rubrica “A mano sciolta”.
Dal prossimo numero partiremo con il nono numero della mia vecchia rubrica “Racconti curiosamente iridescente”, che colmerà questa breve parentesi estiva.




Prima che la rubrica vi saluti, ci terrei a ringraziare Stefano Ramadoro per il logo, una curiosa sintesi fumettistica degna di nota.





Commento dell’autore
La miseria non va spazzata via con sufficienza, ma combattuta con pazienza e comprensione. E la diversità non può essere nascosta, né cacciata fuori dalle circonvallazioni esterne o dai raccordi anulari, come sta avvenendo rispettivamente a Milano e a Roma.





Sono uno zingaro, e arrivai per una strada d’oro. Fino alla periferia di Milano, che raggiunsi tenendo bene per mano i miei nonni dalla Romania. Mi ricordo le larghe distese di verde e i casamenti alti tutti pieni di terrazzi, con cento occhi di parabole. I miei nonni si curavano poco di me, piuttosto avevano sempre gli occhi disciolti nel viaggio, perché il viaggio è quasi tutto per noi zingari, e se sembra che siamo tristi, in realtà ci stiamo solo commuovendo. I miei genitori non li ho mai conosciuti e non so cosa sia accaduto loro, nonna diceva che non era importante perché anche chi non li ha mai conosciuti ha dei genitori. A me sembrava importante pure averli vicini, però io le davo retta in tutto, e quindi anche su questa cosa mi auto-suggestionavo per darle ragione. Alla periferia di Milano ci eravamo costruiti una casetta di lamiera, e più o meno tutti gli zingari si erano sistemati come noi nel campo nomadi, si conduceva una vita comunitaria. D’inverno era molto freddo e d’estate puzzavamo un po’ (mio nonno moltissimo), ma tutto sommato stavamo bene, ed io e gli altri bambini giocavamo con i cani del campo, ché ci intendevamo bene tra randagi e potevamo trascorrere insieme le giornate senza annoiarci. A volte mi toccava andare a chiedere l’elemosina vicino alla stazione Centrale o al parco Sempione e, se tiravo su un bel gruzzolo di spiccioli, di nascosto mi ci compravo un cono gelato alla fragola e al pistacchio.
Quando mia nonna si metteva a leggere il futuro nel caffè agli altri zingari del campo che venivano da lei per un chicco di conforto, mio nonno mi prendeva da una parte e mi ripeteva sempre: «Tu non devi credere ai fantasmi o a chissà che dio; gli uomini possono essere liberi come gli spiriti, ma sempre rimanendo in carne ed ossa».
«E dopo la morte che succede?», gli chiesi una volta io, incuriosito.


Il testo completo lo trovate sul sito www.lorenzoallegrini.tk




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