mercoledì 20 giugno 2007

Apriamo un di dibattito...

In fondo troverete un mio breve commento...


POESIA e MORALE
Il figlio bastardo del Dott. Faust (Due pulci nell’orecchio )
09 Febb 2005 01:54:43

Questo pensiero è molto interessante: che la poesia sia bella, sia amabile, pur esprimendo valori non condivisibili; è un pensiero rivelatore di qualcosa di profondo, che sarebbe semplicistico, o forse solo eccessivamente sintetico, chiamare "ipocrisia borghese", come facevano i poeti maledetti.
La poesia è una forma di espressione della verità, dello spirito, della sostanza eterna dell'universo, una forma d'arte: non tutto ciò che si scrive è poesia, ma soltanto quella speciale combinazione di segni che costituiscono la chiave di accesso alla realtà, al fiume che scorre in alienità dalle leggi del tempo.
La poesia è una forma di espressione della conoscenza ed, insieme, è una forma di appropriazione della conoscenza: può sembrare strano, ma chi scrive sa che scrivere non è soltanto un atto di comunicazione di qualcosa che si possiede, ma è, prima di tutto, un atto di possesso.
La forma è l'arma con la quale si cattura la verità.
La conoscenza del vero ordine dell'universo può essere tutt'altro che un'esperienza priva di insidie e di dolori: la conoscenza è un percorso infinito, nel quale, tanto si è più vicini alla verità, tanto essa acceca.
Questo concetto è un archetipo che non invento io, ma proviene dalla cultura classica, dalla tragedia greca e dal mito di Edipo in particolare, almeno nella interpretazione depurata dal plagio fattone da Freud: Edipo approda alla conoscenza attraverso le più terribili prove, mischiandosi al sangue, spiegando la lotta, brandendo il potere, finché, terminate queste parabole terrene, giunge al sapere, e la conoscenza gli frutta come premio la follia. Edipo si acceca, cavandosi gli occhi che avevano voluto vedere, e vive mendico e al buio il resto dei suoi giorni.
Che dire di Prometeo? Anche questo mito si presta all'equazione fra conoscenza e dolore. I miti sembrano insegnare che la via della conoscenza è tragicamente segnata dalla rovina.
Sembra saggio, invece, limitarsi a conoscere solo quanto serve a vivere bene.
Si può concludere che la conoscenza non è affatto necessaria alla vita, che, anzi, sembra procedere assai meglio nell'oscurità, senza interrogarsi su sé stessa.
Ciò che realmente serve alla vita sono delle credenze: piccole, modeste, false credenze, che alimentano giorno per giorno il cammino, il lento spegnimento del fuoco che brucia nell'essere umano.
Ciò in cui si crede e che muove l'interesse ed il cammino della vita sono i valori morali: ciò che è degno di essere conseguito, nella condivisione sociale di questa dignità. Ecco perché è comune sentimento accettare la separazione fra poesia e morale, arte e morale, conoscenza e morale: occupano spazi diversi, piani diversi, dimensioni diverse. Naturalmente, la dimensione vera è quella dell'arte e della sua bella figlia: la poesia; ma questo non serve alla vita.
Alla vita, alla morale, serve sana e conservativa oscurità, menzogna, indifferenza, illusione.
Tutto questo può bastare per la specie più consistente di uomini: avere la loro tranquilla morale e intanto contemplare da lontano la bellezza dell'arte, della verità, ma senza avvicinarsi troppo, avvertendone istintivamente il pericolo.
Per quella infelice e derelitta specie, fatta, invece, di poeti ed artisti di ogni genere, la conoscenza e la verità esercitano un richiamo molto più seducente dei beni apparenti che infestano la vita quotidiana.
Per costoro, arte e morale coincidono: non per scelta, ma per necessaria caduta nell'abisso.
Per costoro, la morale della verità diventa danno: agli occhi della morale comune sono "immorali", è inevitabile.
L'amore per la verità li sprofonda nel baratro dell'autodistruzione, poiché perdono di vista la saggezza conservativa, in favore di quella propulsione ipossidica che conduce all'incontro fra genio e la follia, fatta di libera e smodata ricerca del tutto in ogni cosa, in ogni esperienza.
E così, in piena tranquillità, si dice che il poeta sia un genio da non imitare e la verità un bene da considerare a distanza di sicurezza.

Le petit bourgeois.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Diciamo che era meglio se me ne fossi fregato della verità.
accettando i pregudizi in voga, e magari prendendo a calci qualche "culo nero",
ma tanto non posso più tornare indietro,
è una scelta che ho fatto qualche anno fa.
E ora mi trovo ad essere curioso,
a descrivere i miei sogni
e sperare che comuque sia,
prima o poi, tra 200 o 10000 anni la gente capisca perché vale la pena accostarsi all'empatia.
E poi è inutile flipparsi la testa se tanto non posso cambiare ciò che sono.